Che leggere facesse bene forse lo sapevamo già! Da bambini ci hanno assillato maestre e parenti dicendo che dovevamo leggere perché così avremmo imparato meglio l’ortografia, avremmo sviluppato la nostra immaginazione e soprattutto non ci saremmo ‘fritti’ il cervello davanti alla TV o al Commodore 64 (per i più giovani che si staranno chiedendo cos’è, è il più diffuso computer degli anni ’80 su cui giravano dei video-games per l’epoca pazzeschi!). Ricordo il regalo di mia zia Anita tutti gli anni per il mio compleanno a fine ottobre… aveva una forma rettangolare, era duro, busta di Feltrinelli…. oddio, era l’ennesimo libro! Sempre il regalo meno gradito tra tutti quelli ricevuti! Eppure, mia zia faceva bene a regalarmi i libri (ed io avrei fatto bene a leggerli!), ed ora vi spiego il perché tramite le riflessioni e lo studio del neurologo, Dr. Mark McLaughlin.
Il medico confessa che fino a che studiava all’università difficilmente leggeva libri che non fossero inerenti ad i suoi studi e che quindi doveva necessariamente leggere o che trovava, in qualche modo, di ausilio per superare gli esami che doveva sostenere. Quando il neurologo raggiunse i 30 anni si tuffò nell’inimmaginabile mondo della lettura per puro piacere e scoprì con grande stupore che leggere stava migliorando le sue capacità comunicative, che aveva implementato la sua tendenza all’ascolto e che lo aiutava a formulare risposte più perspicaci e articolate ad esempio nelle lunghe riunioni d’équipe in ospedale. Essendo uno studioso della mente, il medico non si fermò solo nell’osservare ciò che gli stava accadendo, ma volle condurre uno studio per capire cosa succedeva all’interno del cervello dell’essere umano quando si cominciava a leggere ovvero in quale modo i libri avessero influenzato la sua mente a livello neurale.
Per dar risposta a questi suoi interrogativi, nel 2013, Mark McLaughlin ha condotto uno studio presso la sua università Emory, per vedere come la lettura potesse influenzare le aree del cervello deputate ad esempio alla comunicazione. I soggetti volontari che si sottoposero all’esperimento ricevettero il compito di leggere alcuni stralci di un romando per nove notti consecutive. Una volta sottoposti a risonanza magnetica effettuata la decima mattina dell’esperimento, si evidenziò un significativo aumento della connettività nella corteccia temporale sinistra, cioè nell’area del cervello deputata alla recettività del linguaggio. L’elemento sconcertante fu che il rafforzamento nell’elaborazione del linguaggio si manifestava anche se i volontari non stavano leggendo, ovvero, era come se, per dirlo con le parole del neuroscienziato che seguì lo studio, il Dr. Berns, questa maggiore connettività era come se fosse una “memoria muscolare”. Ora si immagini quanto queste connessioni si rafforzerebbero se leggessimo tutte le notti!
Un’altra ricerca, quella condotta dalla psicologa Dr.ssa Mar alla York University of Canada, ha scoperto che leggere, specie storie e romanzi, rende l’individuo molto più empatico, ci trasforma, in altri termini, in persone più brave nel trattare i nostri simili nella vita reale.
Lo stesso Mark McLaughlin, infatti nell’articolo in cui racconta il suo esperimento, afferma che “Immergermi nella vita dei vari personaggi sulla pagina stampata ha migliorato la mia capacità di ‘leggere’ persone reali in scenari impegnativi” e gli ha fornito le capacità comunicative necessarie per potersi esprimere in maniera più empatica con i suoi pazienti e/o con i loro familiari, nonché per rapportarsi in maniera più cooperativa con i colleghi.
E allora, forza, via gli smartphone e fuori i libri… come facevamo del resto quando nelle gallerie della metropolitana il telefono non aveva ancora campo!
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