Qualunque genitore, un po’ per senso del dovere, un po’ per misericordia e un po’ per accelerare i tempi di vita e riuscire ad andare a tavola ad un’ora decente ha la tentazione di aiutare il proprio figlio a svolgere i compiti che le maestre assegnano per casa. Ma a volte, con le migliori intenzioni, si ottengono i peggiori risultati. È un po’ come il detto ‘il medico pietoso fa la piaga purulenta’. È uno studio che viene dalle fredde terre della Finlandia che ci mette in guardia sull’opportunità di aiutare i nostri figli nei compiti. Vediamo ora nello specifico cosa sostengono questi ricercatori.
Lo studio è stato condotto nell’Università di Jyaskyla nella Finlandia orientale sotto lo sguardo attento della dottoressa Jaana Viljaranta e dei suoi collaboratori. Il campione era composto da bambini del secondo, terzo e quarto anno delle scuole primarie. Secondo i risultati di questa ricerca tanto più i genitori davano l’opportunità ai figli di studiare da soli, tanto più questi diventavano tenaci nel raggiungere l’obiettivo. Questo perché le mamme che non aiutavano i figli nei compiti inviavano loro il messaggio “credo in te, so che ce la puoi fare da solo”. Quando aiutiamo nostro figlio, infatti, dobbiamo sempre considerare che gli inviamo un duplice messaggio, uno più palese ed un altro più subdolo (che però attecchisce molto di più del primo proprio perché latente!). Il messaggio palese è “ti aiuto perché ti voglio bene”, quello più nascosto invece è “ti aiuto perché da solo non ce la fai”. Ecco qui, che come per i panicanti, grandi riceratori di aiuti e appoggi, con le migliori intenzioni produciamo gli effetti peggiori contribuendo a lasciarli nel loro stato di empasse.
Quando aiutiamo eccessivamente i nostri figli, in campi dove loro potrebbero farcela tranquillamente da soli, agiamo da genitori spazzaneve che anziché camminare a fianco del proprio figlio gli si parano davanti impedendo loro di sperimentarsi, di crescere, in altri termini, nella pratica ci sostituiamo ai nostri figli che non hanno l’opportunità di imparare nulla della data situazione che devono gestire. Nell’ingresso a scuola, il genitore dovrebbe assolvere la funzione di allenatore che cammina al fianco del proprio figlio, unico responsabile nel raggiungimento dell’obiettivo. Il genitore, pertanto, non deve sostituirsi al ragazzo e raggiungere gli obiettivi al posto del figlio! Il compito del genitore è quello di far sì che il figlio riesca a raggiungere l’autonomia nello svolgere i compiti e riesca a conquistare i suoi spazi senza aver necessità del genitore. Essere mamme o papà eccessivamente protettivi, al contrario, stimola nel bambino la tendenza alla delega per cui il figlio si aspetta che il genitore metta a disposizione le sue competenze e le sue abilità per ‘togliergli le castagne dal fuoco’ impedendo quelle piccole conquiste di autonomia che aiutano la crescita e la formazione di una buona autostima e di un adeguato senso di autoefficacia nel bambino. Non solo, l’atteggiamento eccessivamente controllante dei genitori di oggi per cui i propri figli devono essere sempre i primi, devono essere sempre perfetti, stimola nei bambini un’elevata ansia da prestazione per cui questi si sforzeranno sempre più di compiacere i genitori che si aspettano da loro prestazioni elevate. Questo atteggiamento, inoltre,genera diversi effetti: arriva il messaggio che da solo il bambino non ce la fa, quindi un messaggio di sfiducia nelle sue abilità, produce una dipendenza continua mamma (o papà)- figlio e soprattutto fa nascere il timore del bambino di sbagliare per cui egli teme più la valutazione dei genitori che dell’insegnante.
Al contrario i genitori dovrebbero stare due passi indietro, tollerare l’imperfezione e permettere al proprio figlio di sbagliare operando, una volta commesso l’errore, una valutazione lucida ed oggettiva di ciò che è successo in modo tale il bambino possa da quell’errore, imparare qualcosa di utile alla sua crescita. Se ci pensiamo bene, in effetti, l’errore rimane molto più impresso di ciò che invece è stato fatto bene perché porta con sé emozioni come il senso di frustrazione e di fallimento, e come ben sappiamo, tanto più un evento è connotato di un’emozione forte, tanto più quell’evento verrà ricordato. Quindi è vero il detto ‘sbagliando si impara!’.
Ma cosa si fa se finora siamo stati genitori spazzaneve? Occorre riprogrammare con le insegnanti il ruolo del genitore nella vita scolastica del figlio, in altre parole i genitori devono entrare in quest’ambito solo quando specificatamente chiamati a farlo dagli insegnanti e smettere di stare col fiato sul collo dei propri figli. In altri termini, l’aiuto va dato solo quando è un altro adulto a chiederlo!
Questo vuol dire che devo sempre negare l’aiuto se richiesto esplicitamente ed esclusivamente da mi figlio? No, non significa questo! Possiamo aiutare i nostri figli, ad esempio, nella gestione delle sessioni dei compiti, che vuol dire nello specifico scandire i tempi di studio, quelli della merenda e quelli dei giochi per cui magari si studia un ora, poi si fa una pausa per la merenda, poi si studia un’altra ora e poi si va a giocare. Possiamo gestire anche lo spazio perciò consigliarli decidere insieme dove studiare: meglio una scrivania ben illuminata che il divano o il tavolo della cucina mentre noi guardiamo la televisione. E quando espressamente ci chiedono di spiegar loro qualcosa che non hanno capito lo faremo senza però fare i compiti al loro posto, rispiegheremo quella regola poco chiara per permettere loro di svolgere i compiti in autonomia lasciando le correzioni alle maestre il giorno dopo in classe.
Se la richiesta esplicita invece è propri quella di fare i compiti al posto loro, occorrerà lavorare sulla motivazione e spronare il bambino a fare da solo.
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