L’essere umano è per sua indole un essere sociale e necessita della compagnia degli altri. Se analizziamo la storia, ci accorgiamo che fin dai tempi della preistoria, l’uomo delle caverne aveva bisogno dell’altro. Innanzitutto di una donna con la quale poter sfogare i propri istinti sessuali e potersi riprodurre, in secondo luogo di una tribù capace di sostenerlo, capirlo e soprattutto aiutarlo in caso di difficoltà, prima di fronte alle bestie feroci che poteva incontrare, poi di fronte ad eventuali altre tribù che volevano attaccarlo. Si può pertanto dire che la socialità dell’uomo e la sua necessità di fare gruppo è un istinto primario. Lo studioso Maslow, infatti, quando individuò la sua piramide dei bisogni relativi all’essere umano, specificò che questi aveva la necessità dell’appartenenza, ovvero, uno dei suoi bisogni primari, istintivi era proprio quello di appartenere ad un gruppo e di intrattenere con gli altri membri di tale gruppo dei rapporti di amicizia, di affetto e di intimità sociale.
Inutile dire, che, implicitamente, alla base questa tendenza alla socialità, ovviamente troviamo la capacità di fidarsi dell’altro. È infatti impossibile intrattenere delle relazioni significative se non ci fidamo dell’altro! Ma allora, se l’aspetto relazionale è di fondamentale importanza per l’uomo, perché l’uomo moderno, stando ai dati fornitici dall’Istat, non è più in grado di fidarsi e quindi di avere relazioni?
L’istat ci ricorda che uno degli indicatori di felicità è proprio la capacità di saper investire emotivamente nell’altro. Questo non solo aumenta ovviamente il benessere individuale, ma addirittura quello collettivo e dell’ambiente nel quale si è immersi. Dagli studi Istat emerge che in Italia, le relazioni sociali della popolazione sono abbastanza stabili. Nonostante ciò solo un quinto del campione di riferimento ritiene che la maggior parte della gente meriti fiducia. Le percentuali scendono poi se si interrogano i soggetti circa la loro soddisfazione inerente alle relazioni familiari. L’anno scorso il 34,6% degli intervistati si dichiarava soddisfatto dei rapporti con la propria famiglia, quest’anno è dello stesso avviso solo il 33,2%. Per ciò che riguarda le relazioni amicali, lo scorso anno era soddisfatto il 24,8%, quest’anno solo il 23,6. Questi cali percentuali si rintracciano soprattutto nel mondo femminile e nelle regioni del nord Italia.
Si registra inoltre un calo di partecipazione sociale e civica e di volontariato nelle regioni del sud, dove invece restano forti i legami con la famiglia e gli amici. Nel nord Italia, invece, avviene assolutamente il contrario: gli individui, delusi dalla propria cerchia di amici e parenti, investono maggiormente nel sociale. Un ultimo dato importante da sottolineare è poi la tendenza degli Italiani a parlare e partecipare alla politica: sono sempre meno le persone che si interessano a questo tema, quelli che ne parlano sono solo il 36,7% contro il 41,3% dello scorso anno.
Ma cerchiamo di capire il perché di questa inversione di tendenza. Se l’essere umano ha sempre avuto come bisogno innato quello della socializzazione, perché oggigiorno invece sembra non interessarsene più? A mio avviso si possono rintracciare due ordini di fattori: quelli individuali e quelli sociali. I primi riguardano le capacità personali di relazionarsi all’altro e le paure di investire in un rapporto. Questi fattori sono strettamente legati alla propria storia familiare, alle proprie esperienze e alle proprie risorse. Tanto più in famiglia e nella propria vita personale si sono sperimentate relazioni fallimentari, tanto più, per una sorta di ‘impotenza appresa‘, l’individuo è avverso ad investire nell’altro. Forse i nostri antenati delle caverne non avevano sviluppato la metacognizione che invece oggi l’individuo ha, in altri termini probabilmente essi non avevano le facoltà mentali che abbiamo oggi di riflettere sul nostro vissuto e quindi di comportarsi di conseguenza. I fattori sociali, invece, riguardano principalmente lo stile di vita che la comunità alla quale apparteniamo ha sposato. In una società dove si vive tutto sempre di corsa perché si deve lavorare tanto per poter arrivare a fine mese, pochi sono i momenti liberi in cui si può ricercare e trovare lo spazio per l’altro. Viviamo in un epoca in cui moglie e marito si incontrano ‘per sbaglio’ in casa dopo una giornata interminabile di lavoro, stanchi dalla quotidianità riescono così a mala pena a gestire il rapporto con il proprio convivente, figuriamoci con la cerchia di amici e parenti. Le famiglie sono costrette, sempre per problematiche inerenti al lavoro, a separarsi, a traferirsi in città diverse ed i rapporti si perdono nella distanza fisica che separa i membri. Se ci si riesce a ricongiungersi durante le feste già sembra un miracolo. Il valore della famiglia si è perso per cui il numero dei divorzi è sempre in aumento, così pure i numeri riguardanti le famiglie a nucleo singolo. In un tale contesto la fiducia nel prossimo diminuisce così anche la volontà di investire emotivamente nell’altro. I social network ci danno poi la possibilità di creare rapporti virtuali effimeri a basso investimento emotivo che vengono spesso preferiti a relazioni vere e serie che comporterebbero più rischi. Considerando tutto ciò ci si rende conto che l’uomo delle caverne non solo viveva in una società dove l’altro rappresentava una fonte di aiuto, ma non aveva altro modo di stare in relazione se non quello di fisica vicinanza.
Alla luce di ciò, cosa fare? Cercare di ritrovare il valore della famiglia e della solidarietà già mi sembrerebbe un buon inizio. Inoltre sarebbe opportuno riflettere sul fatto che, come si dice, ‘chi non risica non rosica’ pertanto considerare che nell’atto di fidarsi si potrebbe sì avere una delusione, ma si potrebbe anche guadagnare qualcosa di buono e duraturo. D’altronde, una vita vissuta in solitudine per evitare un dispiacere, è una vita vissuta pienamente e che valga la pena di essere vissuta o è una vita sprecata? A mio avviso, tanto vale vivere rischiando che non vivere affatto!
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