Che cosa si intende per femminicidio? Qual è la differenza tra un semplice omicidio ed un femminicidio? Con il termine femminicidio si intende un omicidio che ha come causa il solo motivo di genere. Si uccide pertanto, solo perché la vittima è una femmina. Si tratta di un omicidio doloso o preterintenzionale che si colloca in un sottoinsieme della totalità dei casi di omicidio aventi un individuo di sesso femminile come vittima.
La prima che utilizzò questo termine fu una docente femminista, Diana E.H. Russell, che definì nel 1990 questo genere di omicidio come una “uccisione di una donna da parte di un uomo per motivi di odio, disprezzo, piacere o senso di possesso delle donne“.
Successivamente, specie nel primo decennio del 2000, il tema ha cominciato a riscuotere grande interesse mediatico specie in occasione della giornata mondiale contro la violenza alle donne che ricorre proprio oggi, 25 novembre.
Ma quali sono i numeri che interessano il nostro paese relativi al 2017 di questo fenomeno? Da gennaio ad oggi hanno perso la vita 84 donne. Questa cifra risulta più o meno in linea con gli scorsi anni: nel novembre 2016 le vittime sono state 88, nel settembre 2015 87. Se si fa un rapido calcolo, pertanto, si stima che in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni.
In accordo con i dati dell’associazione Sos Stalking, nel 2016, nel nostro paese sono state uccise 115 donne, nel 2015 120, nel 2014 117 e nel 2013 addirittura 138. Sempre secondo questi dati la regione in cui si verificano maggiormente i femminicidi sarebbe la Lombardia (11 casi), seguita da Veneto, Emilia Romagna e Campania (8 casi), Sardegna, Sicilia e Toscana (6 casi), Lazio e Puglia (6 casi), Abruzzo (4 casi),Liguria (3 casi), Trentino, Friuli e Calabria (2 casi), infine le Marche (1 caso).
Chi sono gli autori di questi omicidi? Generalmente mariti, compagni, ex delle vittime o comunque soggetti che intrattenevano una relazione sentimentale con la vittima.
Ma perché si arriva al femminicidio? I motivi possono essere i più disparati, da un serio disturbo psichiatrico che quindi porta un soggetto seriamente compromesso dal punto di vista psicologico all’omicidio, alla semplice incapacità di gestire la propria rabbia nei confronti dell’ex che ha fatto soffrire, alla non accettazione di una storia finita e che non ha minimamente le basi per ricominciare, a sentimenti di disperazioni per cui si pensa di non aver nulla da perdere nell’uccidere l’altro (specie nei casi in cui l’omicida poi a sua volta si suicida).
Il fatto più allarmante, dal mio punto di vista, è che il 20% dei femminicidi in genere è preceduto da una misura cautelare che prescrive agli assassini un divieto di avvicinamento alla vittima, quindi, in buona sostanza, se si rispettassero le prescrizioni o si applicassero le leggi in merito, il 20% di questi femminicidi potrebbe essere evitato.
Ma che fare con questi numeri? Innanzitutto credo che il fenomeno meriti interesse e che quindi questi dati debbano emergere per sensibilizzare l’opinione pubblica al tema. In secondo luogo credo che le istituzioni, la famiglia, la scuola potrebbero, mediante il processo educativo a loro deputato,provare ad esaltare il valore di ogni essere umano, a stimolare il rispetto per l’altro e ad insegnare ai ragazzi la modalità sana di destreggiarsi nelle relazioni interpersonali.
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